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RITCHEY

La definizione di ciclismo è sfuggente, ma è viscerale nel modo in cui definisce il processo. È un’ondata di parole che inonda la mente quando viene chiesto del viaggio che non può essere pronunciato. Sono le sottigliezze del tono che emettono il morbido ronzio dell’asfalto sottostante mentre si passa da un rettilineo a una curva dura. Sono le vene delle strade che attraversano la Terra, costellate di esperienze indimenticabili lungo il cammino. È semplice come il primo giro a scuola e complesso come un gruppo che percorre un percorso tecnico. Può essere ridotto alla sua forma più semplice: la libertà. È la gioia e la felicità pura che si gonfiano mentre le proprie gambe pedalano lungo la distanza verso nuove destinazioni. Le libertà che una bicicletta può offrire non hanno eguali in questo mondo.
Un brindisi a coloro che sono venuti prima di noi: a coloro che hanno sentito i loro nomi sussurrati negli alisei. I giovani marinai che, con le migliori intenzioni, hanno preso il largo. A chi ha disegnato le mappe. Le mani ferme che tracciavano i contorni della campagna sulla carta affinché altri potessero esplorarli. A quelli che sapevano meglio che fermarsi dove finiva il sentiero. I nomi incisi in omaggio nelle strade di città lontane da dove hanno avuto origine.
Un brindisi a una sete insaziabile di scoprire cosa c’è appena oltre quel valico: alla sensazione di sapere esattamente dove ci si trova pur non avendo mai visto questa terra prima.